Ti voglio bene, per questo #iorestoacasa

Torno a scrivere in questo folle periodo di quarantena nazionale. Tutto quello che so è che se imparassimo a condividere senso civico ed intenti assomiglieremmo a un’immensa distesa di fiori pronti a contribuire ognuno a suo modo alla bellezza e alla salvaguardia del prato.

#iorestoacasa per sconfiggere il coronavirus: riflessioni personali

Mi ero ripromessa di non parlarne perché di parole (di tutti i tipi) ne leggo e ne ascolto tantissime ogni giorno, così tante da pensare che la mia voce, flebile com’è, potesse anche non servire.

Per un po’ ho lasciato che certe preoccupazioni implodessero, così da salvare chi ho accanto dalla me che sente tutto, anche il peso delle vite degli altri. Continuo a farlo ancora, eh, ma far finta di niente è diventato surreale, così come sforzarmi di selezionare ogni giorno per lavoro notizie positive sull’evolversi del coronavirus.

Tornare a scrivere per riprendere fiato

Ho cambiato idea un milione di volte sul fatto di esprimermi o meno, nell’attesa che qualcosa potesse migliorare. Confidando anche negli altri come non sono abituata a fare. Oggi, però, ho finalmente deciso di alleggerirmi e spalancare le finestre per far cambiare aria. Ché a volte è necessario dare uno schiaffo alle emozioni negative accumulate qua e là.

Se la favola del “coronello, il virus birbantello” – ideata per spiegare ai bambini quello che stiamo vivendo – con me ovviamente non funziona, funziona invece scrivere per riprendere fiato e ritrovare il coraggio. Quello che devo recuperare per ricentrarmi e trasmetterlo a chi ne ha più bisogno di me. A chi è costretto a uscire di casa per andare a lavorare come i nostri papà, ai fratelli e alle sorelle che vivono a chilometri di distanza dalla famiglia, alla vita che scalpita nel pancione della mia amica al nono mese di gravidanza.

Cavarsela da soli è impossibile

E così rompo il silenzio che avevo imposto a me stessa per sciogliere il senso di impotenza che sento da giorni, per urlare che per farcela non è possibile cavarsela da soli. Che non è il momento di andare controcorrente, di credersi invincibili, di battersi per la libertà personale a tutti i costi. Di correre per superare e superarsi. Ce ne occuperemo poi, quando torneremo ad affannarci e lamentarci come sempre.

È tempo, invece, di remare tutti nella medesima direzione, di fermarsi per capire che minimizzare non è divertente né realistico, di ragionare con quanta più lucidità possibile compiendo gesti che lo siano altrettanto. Come donare o condividere sui propri canali social informazioni accertate sulle varie raccolte fondi in atto. La mia piccola parte ho deciso di farla a favore dei reparti di terapia intensiva della Puglia attraverso la piattaforma gofundme.

Per (r)esistere servono mente e cuore accesi

Andrà tutto bene. Una frase che continuo a ripetermi perché sono una di quelle persone che amano pronunciarla per crederci di più, per crederci davvero. Io ci credo a fasi alterne, ma per crederci meglio serve la voce di tutti, servono gli occhi e le orecchie di ciascuno di noi per informarsi e responsabilizzarsi, per non guardare dall’altra parte sperando che la situazione possa risolversi da sé nascondendo il volto sotto la coperta come facevamo da piccoli per proteggerci dal buio.

Per far sì che la notte del mondo duri il meno possibile, serve accendere la mente e il cuore. Serve tutelare chi amiamo così come ci viene chiesto di fare, così come faremmo con i nostri cari senza aver minimamente bisogno di una direttiva governativa.

Servono davvero misure restrittive, multe e provvedimenti penali elaborati ad hoc per smetterla con l’indifferenza e la certezza che niente e nessuno possa scalfirci? È davvero umanamente possibile accettare l’idea che le strutture ospedaliere, già in disperato affanno, debbano essere costrette a scegliere quale vita salvare qualora il numero dei contagi dovesse sfuggire ad ogni controllo e autocontrollo? Dai, su.

Distanti per riavvicinarci presto

Vivo in Puglia, ho familiari e amici da proteggere, incoraggiare e con i quali sperare, ma anche altri pezzi di cuore che risiedono nelle zone rosse del Nord Italia – ormai diventate arancioni per tutta la penisola. Come me, ognuno di noi ama ed è amato da qualcun altro. Cinici, egoisti, incoscienti e minimizzatori inclusi. Se unissimo le forze e le fragilità, così come il timore e la voglia di uscirne, e imparassimo a condividere senso civico ed intenti, assomiglieremmo a un’immensa distesa di fiori pronti a contribuire ognuno a suo modo alla bellezza del prato. E alla sua salvaguardia.

Questo è quello che ora siamo chiamati a fare. Restare a casa il più possibile.

Per tornare ad abbracciarsi come si deve, senza misure di sicurezza, senza distanze preventive, da soli non possiamo farcela. Insieme sì. Quindi… «Cercate di amare chi vi sta vicino». È tutto qui il senso. È tutta qui la cura.

Quarantena e letture anti-panico

Fidatevi quando vi dicono che le parole hanno un potere. Ecco alcune delle mie preferite di questo folle periodo di quarantena nazionale.

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Elenco non esaustivo delle cose da fare e delle cose da ricordare e delle cose da imparare di questi giorni. Non si resta in pigiama, ci si alza e ci si veste perché da qualche parte dobbiamo pur cominciare. Si dona tutto quello che si può donare: soldi agli ospedali che sono in difficoltà, il sangue che serve sempre, o semplicemente tempo – fosse anche quello di una telefonata – alle persone che non hanno nessuno. Si seleziona l’informazione con raziocinio e senso critico senza farsi prendere dal panico e senza farsi propinare ogni tipo di news non verificata. Non serve, davvero. Ci si lava le mani, tanto e per più di sessanta secondi. E ci si mette un po’ di crema anche. Si respira a pieni polmoni pensando a qualcosa che ci fa stare bene. Io ad esempio penso sempre al mare e al vento che entra dai finestrini aperti. Si mette ordine negli armadi, nei cassetti, tra le foto e nelle nostre vite anche. Ci si annoia un po’ a tratti come succedeva ai bambini qualche decennio fa e come non sappiamo più fare. Si lavora perché l’Italia non si ferma – sta a casa, tra il divano e il frigorifero – ma non si ferma. Si sente la mancanza, il bisogno, la paura. Il terreno franare sotto i piedi. Si sente tutto ciò che non siamo più abituati a sentire, anestetizzati come siamo dal troppo parlare e dal troppo avere e dal troppo fare e dal troppo desiderare. E si ha fiducia nel domani e soprattutto nel prossimo, in quel vicino che al momento teniamo a debita distanza, un metro o poco più, ma che domani torneremo a volere accanto. Nessuno si salva da solo, ora più che mai.

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